sabato 25 ottobre 2008

Frammenti di un ramoscello. 2

“Buongiorno Sig. Cicala”, salutò Laura, la nipote aiutante dello sgualdrino novarese, artista fallito, mercante d’arte e mescitore di antichi vini romani, come si sarebbe successivamente pronunciato un altro frequentatore abituale molto particolare, affetto di disturbo bipolare, quel male che lui stesso avrebbe dovuto curare nei suoi paziente. Il saluto era rivolto a Carmelo, parrucchiere estetista in pensione, sei occhi, per la sua rinomata abitudine di leggere il giornale con due paia di occhiali.
“Segnaglieli a leei”, strascicò un’altra Laura, quella del self service all’americana, la stacanovista che ogni giorno era solita prendere i caffè per lei e le sue colleghe. Di Laura ce n’erano parecchie, di ogni età, ma solo una non c’era più e lui gliela avrebbe poi cantata, che il suo nome era in una canzone, ma lei non ricordava che era proprio la Laura che non c’era colei che tanto mancava al Carletto, un altro dei frequentatori abituali.
Il caffè no, quello non poteva mancare mai. Chi lo voleva liscio o semplice, chi ristretto, chi molto ristretto ma non troppo caldo, chi corto, chi lungo, chi corretto, chi corretto con goccia, chi con correzione a parte, chi con un chicco intero di caffè (come la “mosca” nella Sambuca), chi con il vino, chi con il rosso dell’uovo fresco sbattuto, chi con la panna, chi macchiato, chi schiumato, chi con il latte freddo a parte, chi marocchino, così chiamato per l’aggiunta di latte e cacao nel bicchierino di vetro, chi d’orzo, chi sceccherato d’estate, chi con il dietor, chi con lo zucchero di canna, chi con tazza grande, chi dentro al bicchiere ma non troppo bollente altrimenti il vetro scoppia e il caffè non può più essere gustato.
(segue)

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