mercoledì 21 aprile 2010

Romain Rolland, Vita di Beethoven

Era piccolo e tozzo, dal collo grosso e dall’ossatura atletica. Aveva il viso largo, color rosso mattone, tranne che verso la fine della vita quando gli venne un incarnato malaticcio e giallastro, soprattutto d’inverno, che doveva starsene chiuso in casa, lontano dai campi. La fronte era potente e rilevata; i capelli estremamente neri, irti e spessi, tanto che sembravano non esser mai stati pettinati: veri “serpenti della Medusaù”. J. Russel 1822

Gli occhi brillavano di una forza prodigiosa che afferrava tutti quelli che lo incontrassero. […] Poiché fiammeggiavano selvaggiamente in un viso bruno e tragico, furono generalmente considerati neri: erano invece grigio azzurri. Il pittore Kloeber, che gli fece il ritratto verso il 1818.

Il suo viso si trasfigurava, sia in un accesso di improvvisa ispirazione, uno di quegli impeti che lo prendevano anche in mezzo alla strada e che facevano stupire i passanti, sia quando lo si sorprendeva al cembalo. “I muscoli del viso si rilevavano, le vene diventavano gonfie, gli occhi selvaggi due volte più terribili, la bocca tremava; pareva un mago sopraffatto dai demoni da lui stesso evocati”, come un personaggio di Shakespeare. Kloeber.
Julius Benedict afferma che pareva re Lear.

Plutarco ha insegnato a Beethoven l’arte della rassegnazione.

La Sinfonia in do maggiore: il poema di un adolescente che sorride ai suoi sogni.

Nel 1801 oggetto della sua passione fu Giulietta Guicciardi. Era lei civetta, fanciullesca, egoista, e fece soffrire Beethoven sposando nel novembre 1803 il conte Gallenberg.

Dell’inflessibile senso morale: “Raccomandate ai vostri figli la Virtù, solo questa può rendere felici, non già il denaro. Parlo per esperienza: è la virtù che mi ha sostenuto nella miseria, è alla virtù che devo, insieme con l amia arte, di non aver posto termine alla mia vita con il suicidio”.
A Wegeler: “S’io non avessi letto in qualche libro che non ci si deve separare volontariamente dalla vita sinchè si può ancora compiere una buona azione, già da tempo sarei morto e senza dubbio per mano mia”.

Shakespeare era il suo idolo. L’appassionata prese ispirazione dalla Tempesta di Shakespeare, da lui considerata come la più potente delle sue sonate.

Vita di Beethoven di Frimmel.

“Non conosco altro segno di superiorità che l’essere buoni”, scrive il 17 luglio 1812.

Goethe cercò di conoscere Beethoven. I due grandi artisti si incontrarono in Boemia, ai bagni di Toeplitz, nel 1812, ma non si comprensero affatto.
“Goethe e Schiller sono i miei poeti preferiti, con Ossian e Omero, che disgraziatamente non posso leggere che tradotti”.

“Io sono il Bacco che mesce il vino all’umanità. Sono io che do agli uomini la divina frenesia dello spirito”.

Spohr dice che Beethoven doveva spesso restare in casa per colpa delle scarpe bucate.

Il nipote Carlo: “Sono diventato più cattivo perché mio zio voleva che diventassi migliore”.

“Quando mi viene un’idea, la concepisco sempre per uno strumento, mai per una voce”.

“Sacrifica, sacrifica sempre le sciocchezze della vita alla tua arte!” Dio soprattutto!”

Scriveva al nipote: “La nostra epoca ha bisogno di robusti spiriti per staffilare queste miserabili e perdute anime umane”.

Sul suo letto di agonia, il 17 febbraio 1827, dopo tre operazioni, attendeva la quarta; scrive con serenità: “Aspetto con pazienza e penso che ogni male porta con sé qualche bene”.

Morì durante un uragano, una tempesta di neve, proprio nell’attimo in cui scoppiava un tuono. Una mano straniera gli chiuse gli occhi. Era il 26 marzo 1827.

Grillparzer: “Giunse sino al punto pericoloso in cui l’arte si fonde con gli elementi selvaggi e capricciosi”.
Schumann scrive della Sinfonia in do minore: “Per quanto la si ascolti, ogni volta esercita su noi un invisibile potere, come quei fenomeni della natura che, per quanto siano frequenti, ci riempiono ogni volta di timore e di meraviglia”. E Schindler, suo confidente: “S’impadronì dello spirito della natura”.

Ed ecco le nuvole gonfie di fulmini, nere di notte, colme di tempesta all’inizio della Nona.

La gioia attraverso la sofferenza.
Durch Leiden Freude.

Alla fine del secondo tempo della Sinfonia Pastorale, l’orchestra fa sentire il canto dell’usignolo, del cuculo e della quaglia; e si può dire che quasi tutta la sinfonia sia intessuta di canti e mormorii della natura.

“Voglio afferrare il destino alla gola: esso non riuscirà a piegarmi del tutto!”.

Pensieri di Beethoven sulla musica.
La musica è una rivelazione più profonda di ogni saggezza e di ogni filosofia… Chi penetra il senso della mia musica potrà liberarsi delle miserie in cui si trascinano gli altri uomini. A Bettina, 1810.

Perché scrivo? Tutto quello che ho nel cuore deve uscire: ecco perché.

Credete che pensi a un dannato violino, quando lo Spirito mi parla e scrivo ciò che mi detta? A Schuppanzich

Non ho l’abitudine di ritoccare le mie composizioni, un avolta che le ho terminate. Non l’ho mai fatto, convinto che ogni mutamento parziale alteri il carattere della composizione. A Thomson

Fra gli antichi maestri, solo Haendel il tedesco e Sebastiano Bach ebbero del genio. All’arciduca Rodolfo, 1819

Il modo di suonare di Beethoven non era corretto, la sua maniera di diteggiare era spesso errata e il suono trascurato. Ma chi poteva badare all’esecutore? Si era afferrati dai suoi pensieri, in qualunque maniera le mani li esprimessero. Barone di Trèmont, 1809

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